Il suono che sembra, ma non è

Nello scorso articolo vi ho proposto un’analisi principalmente psicoacustica di una celebre scena in cui il sonoro cinematografico è sullo stesso piano di ciò che avviene in video.

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Oggi voglio scendere nei dettagli di un’altra tecnica del sound design cinematografico di cui si tende ad ignorare l’esistenza: la foley art, cioè l’arte del suono che sembra, ma non è.

Per i puristi, in Italia, il foley artist è conosciuto con il nome di  rumorista, un mestiere di cui attualmente rimangono pochi, ed in certi casi anziani, esponenti. Grazie al loro encomiabile lavoro, i meravigliosi ed emblematici video di repertorio dell’Istituto Luce, e di tutti gli archivi mondiali, hanno un sonoro, nonostante siano stati ripresi con antiche macchine da presa sprovviste di microfono. 

Per spiegarvi meglio in cosa consiste questa arte, analizzerò una sequenza cinematografica molto famosa tratta dal film del 1981 Indiana Jones e i predatori dell’Arca Perduta, di Steven Spielberg.  

La scena

Indiana Jones (Harrison Ford) si appresta a recuperare un idolo d’oro dalla camera centrale di un antico tempio in Amazzonia. Dopo aver superato un labirinto di antiche e letali trappole, raggiunge il piedistallo su cui è poggiato il tesoro. Sostituisce la statuetta con un sacchetto di sabbia per non far scattare il meccanismo di protezione, ma il peso non corrisponde. Il tempio sta per crollare, mentre tutte le trappole rimaste attive si azionano e i portale di pietra inizia a chiudersi. Comincia a correre, evita un precipizio, supera l’ultimo ostacolo ma, proprio quando sembra scampato al peggio, un profondo suono di rotolamento cattura l’attenzione dello spettatore. Un enorme masso inizia a rotolare alle spalle del nostro eroe come se lo inseguisse. Indiana Jones fugge dando fondo alle ultime energie e, per il rotto della cuffia, salta fuori dal tempio, ancora una volta illeso.

La tecnica al servizio dell’immaginazione

Fin dall’inizio della scena, un soundscape molto complesso accompagna lo spettatore nella tensione della rocambolesca fuga dal tempio. Oltre ai dialoghi piuttosto serrati degli attori, e alla magistrale colonna sonora del Grande John Williams, possiamo udire distintamente stridii  di pietre, sibili di dardi avvelenati, schiocchi di frusta.

Fra tutti questi rumori, creati ad arte dal sound designer Ben Burtt, voglio soffermarmi su quello del masso gigante, uno degli esempi più rappresentativi di suono che sembra, ma non è. Sono sicuro che, se cercassimo di indovinare come è stato ottenuto, per quanto fantasiose potrebbero essere le nostre ipotesi, nessuna si avvicinerebbe neanche un po’ alla verità.

Infatti, il suono di quella gigantesca pietra rotolante è la ripresa ravvicinata con uno shotgun, leggermente trattata in post, della ruota posteriore destra della station wagon (precisamente una Honda Civic) di Ben Burtt, che discende in folle e col motore spento da una collina dal fondo ghiaioso. Il tutto montato sul video di una enorme sfera di polistirolo pitturata di grigio.

Lo studio, l’implementazione ed il montaggio del suono è un validissimo esempio di invisible cut: il suono della Honda Civic, montato sulle immagini del masso rotolante fa sì che lo spettatore, già immerso nello scorrere degli eventi sullo schermo, abbia l’illusione piuttosto realistica di un enorme palla di pietra  che minaccia l’incolumità del nostro eroe ed il successo della sua impresa.

Un processo creativo

Non c’è limite all’inventiva di un foley-artist: tradizionalmente i gusci delle noci di cocco possono simulare il suono degli zoccoli di un cavallo, varie scarpe di diversa forma e fattura enfatizzano e sonorizzano i passi dei personaggi; un avvitatore a batteria potrebbe simulare il rumore dei movimenti di un robot; l’hum di uno schermo a tubo catodico rotto i potrebbe creare il suono di una spada laser.

In teoria, è possibile ricreare un intero soundscape e sonorizzare artificialmente un film dal silenzio più assoluto ma, a meno che non si sia deciso di restaurare il suono di un film antico, l’intero processo di post-produzione audio, oltre che tecnico è un processo altamente creativo, che riguarda tutti gli aspetti della scena e dello spettatore.

Quello che ho imparato riguardo a suono, storia, biologia, lingua madre e fisica, è che tutto questo finisce nel mix.

Ben Burtt