joe morello suona tempi dispari sincopati

Un coworking informale

Ultimamente mi sento piuttosto affaticato. Credo dipenda soprattutto da questa impietosa canicola che trasforma in un’impresa anche quelle piccole azioni di routine come ricopiare in agenda gli appunti presi sui post-it, rileggere le bozze dei lavori nuovi, mettere in ordine la scrivania del computer.  Forse è per questo che l’eccessivo caldo rende insofferenti. Chiunque abbia visto la parola ai giurati, lo sa bene: per schiarirsi le idee, argomentare con lucidità, o sviluppare un pensiero articolato occorre, oltre ad un ambiente tranquillo, un adeguato ricambio d’aria fresca.

Fortunatamente, quando ho bisogno di lavorare senza distrazioni, concentrarmi, o anche semplicemente ascoltare dischi, un vicino di casa musicista mi ospita nel suo appartamento, senza bimbi piccoli e con il condizionatore. Ci sentiamo al telefono e per darci  un tono lo chiamiamo coworking, ma sostanzialmente lui si chiude in soggiorno a comporre con pianoforte e chitarra, mentre io appoggio sul tavolo della cucina il mio armamentario: il portatile, un paio di quaderni colmi di appunti ed i miei immancabili post-it.

Indovina chi viene a cena

Qualche sera fa sono arrivato da lui verso ora di cena quasi contemporaneamente a suo figlio quattordicenne. Decidiamo di mangiare qualcosa prima di metterci al lavoro e mentre siamo a tavola il ragazzo dice che oggi ha fatto la sua prima lezione di batteria. Il mio amico gli chiede com’è andata ma sarò sincero: non ascolto nulla della loro conversazione.

Infatti, dalla parola batteria in poi, nella mia mente è tutto un susseguirsi di ricordi e di emozioni. Vorrei prestare maggiore attenzione, ma in pochi istanti mi ritrovo a combattere contro due mostri molto più grossi di me: il primo è parlare di una delle cose che mi ha appassionato di più nella vita, appunto, la batteria. Ma soprattutto non riesco a resistere all’incontenibile tentazione, tipica di chi è negli ‘anta, di raccontare come funzionava ai miei tempi.

Si sa, gli adolescenti oggi sono un po’ lenti e confusi nel parlare: lo distraggo facilmente riempiendogli il bicchiere di Pepsi e mentre beve gli rubo la parola.

C’era una volta…

Ho cominciato a prendere le prime lezioni di batteria in oratorio, da un ragazzo più grande. In realtà ci andavo con un mio amico: per dividerci la spesa avevamo inventato quella che a noi sembrava una formula rivoluzionaria: la lezione di coppia. Forse per la barba, o per l’aria da anziano saggio, il nostro insegnante aveva l’autorevolezza del maestro Miyagi. Una delle cose che ci ripeteva più spesso era: Respirate, sentite il tempo e poi date un movimento al pedale.

In effetti, i colpi di cassa, quando senti di averla imparata a suonare decentemente, producono una sensazione, che naturalmente provi solo tu, che non ha paragoni. E’ un suono che ti accompagnerà sempre finché starai nel giro. Risuonerà nei soundcheck estivi, quando il fonico, fresco di scarico e montaggio, racimola tutta la pazienza e lo zelo che gli sono rimasti e ti chiede di battere prima forte e poi piano per regolare la dinamica, e poi sempre uguale per fare un bel suono.

TUM – TUM – TUM – TUM – TUTUM – TUM …
– Ancora, grazie
TUM – TUM – TUTUM – TUM
– Ok, perfetto, ora il rullante.

I primi colpi di rullante sono sempre fuori standard: molti fonici lo sanno e per questo ti prendono in considerazione solo dopo tre o quattro TA.

Batteria S.P.A. (Società Per Amici)

Dopo poche lezioni, decidiamo di investire in una batteria di proprietà, ovviamente di nuovo una, in due. L’unica che possiamo permetterci ha i fusti praticamente in cartone, quasi tutte le meccaniche spanate ed un set di piatti dal suono agghiacciante, ma è la nostra batteria. La parcheggiamo in un altro oratorio e cominciamo a suonare a giorni alterni: questa storia andrà avanti per un bel po’.

Come in tutte le epopee rock che si rispettino, un giorno litighiamo per un motivo sufficientemente futile e decidiamo di sciogliere la società. Acconsento subito a cedergli la mia parte ad un prezzo conveniente, ed a lasciargli la batteria. In realtà, dietro la mia magnanimità per questa separazione consensuale, c’era il mio desiderio di comprarmi prima possibile una batteria vera, e tutta mia.

Ispirato da una cinematografia ingannevole, per racimolare la cifra che mi occorre, mi propongo per dei piccoli lavoretti nel quartiere. Ma è subito evidente che questa strategia non funziona (troppo lunga e, soprattutto, troppo faticosa) e così adotto un metodo decisamente più efficace: imploro mio padre di comprarmi la batteria.

La soffitta

Siccome viviamo in un condominio, il posto che ci sembra più appropriato per tenerla è la soffitta. Senza alcuna competenza in materia di isolamento ed acustica degli ambienti, ma armati di buona volontà e tanto silicone, decidiamo di tappezzare tutto. Primo strato: lana di vetro. Secondo strato: polistirolo. Terzo strato: cartoni delle uova. Ci accorgiamo subito che per la lana di vetro ed il polistirolo basta andare in una ferramenta piuttosto fornita, ma per le scatole delle uova il discorso è un po’ diverso. Non le trovi facilmente, devi proprio andare in una fabbrica di scatole per uova.

Rivestiamo con il nostro triplo strato ogni centimetro quadrato delle pareti, tranne il soffitto: tanto siamo all’ultimo piano. Siamo parecchio orgogliosi del nostro lavoro. Sul pavimento srotoliamo due vecchi tappeti che erano già in soffitta, per attutire le basse. Immancabilmente, cartoniamo anche la faccia interna della porta. Il condominio guarda la cosa con tenerezza ed un pizzico di entusiasmo. Per loro sono un ragazzino che sogna di diventare una star e si eserciterà senza dare fastidio a nessuno, in una soffitta perfettamente insonorizzata. I più disfattisti pensano con sufficienza: prima o poi si stuferà.

Ricordo ancora la mia prima prova. Trascorro un paio d’ore in saletta a cercare di suonare sopra Lithium. Col senno di oggi, posso dire che qualcuno forse avrà creduto suonassi sotto lithium. Quando, sudato e rintronato, rientro in casa per condividere con mio padre la soddisfazione, in soggiorno c’è l’amministratore del condominio.

– eccola qui, la nostra rockstar… beh, quando insonorizziamo la soffitta?

Forse è solo suggestione

Credo che per molti musicisti in erba, il mito del cartone delle uova sia quello che crolla più dolorosamente dopo Babbo Natale e qualche altra credenza sulle quantità di certi liquidi organici prodotti in determinate circostanze. In effetti quel triplo strato applicato ovunque,  ha l’unico effetto di trattenere il calore d’estate ed il freddo d’inverno. Questa particolare forma di isolamento termico, unita ad un soffitto così basso da non poterci stare in piedi, rende la mia sala prove uno dei posti più inospitali del pianeta.

A me però piace, e ci prendo gusto. Passo interi pomeriggi ad ascoltare canzoni che conosco bene e mi esercito a suonarci insieme, a tempo. Ospito amici con chitarre elettriche distorte, cantanti con impianti audio improvvisati, semplici curiosi. Una cosa ci accomuna dal primo all’ultimo: siamo tutti rigorosamente seduti.

In breve tempo però, l’entusiasmo iniziale degli inquilini cede il passo ad una diffusa insofferenza. Colpa dell’eccessivo caldo? I più diplomatici si limitano a lanciarmi occhiate assassine quando li incrocio per le scale, i più sagaci non perdono occasione per farmi battute con sottotesti molto espliciti. Sarà stata la suggestione, ma origliando ad una riunione di condominio, mi pare di sentire che qualcuno propone di farmi trovare una testa di cavallo nel letto. Comincio a temere per la mia vita ma, anche se non ho la scorta, continuo a suonare.

L’ultima corsa

Una sera, esasperati dalla combinazione baccano+ora tarda, staccano la corrente all’intero edificio. Un gesto irrazionale, siamo d’accordo, ma d’altro canto è anche comprensibile che persone normali possano pensare, dato il casino che fa, che la batteria sia uno strumento amplificato. La cosa che invece non mi sono mai spiegato sono le decine di gestori di locali che negli anni a seguire mi hanno chiesto “scusa puoi abbassare la batteria”?

Ma torniamo a quel blackout: trovarmi improvvisamente al buio è uno shock paragonabile all’insetto radioattivo che trasforma Peter Parker nell’Uomo Ragno. Praticamente divento Joe Morello (il batterista cieco di Dave Brubeck, famoso per i suoi assoli in tempi dispari n.d.a.): prendo fiato e continuo a suonare più forte di prima, decretando l’esaurimento definitivo della pazienza del condominio.

Il giorno successivo l’assemblea si riunisce in convocazione straordinaria. Sono queste le cose che fanno aumentare la tua popolarità.  Dopo una seduta abbastanza animata, mi impongono di attenermi ad una griglia piuttosto rigida di giorni ed orari e, quello che è peggio, pretendono la mia disponibilità a smettere su richiesta. Condizioni proibitive, praticamente inaccettabili. Qualcuno ha detto che il segreto del successo sta nel trasformare il problema in opportunità. E così in breve tempo mi trasferisco in una sala prove vera, formo una band ed entro a gamba tesa nella gloriosa metà degli anni novanta. Erano i miei tempi: dispari e sincopati.

Provare per credere

Il mio spettatore quattordicenne mi guarda con comprensibile scetticismo. Credo voglia la prova di cosa è capace di fare questo vecchio, amico di papà (la virgola è intenzionale) che gira sempre con un portatile, un paio di quaderni colmi di appunti ed i suoi immancabili post-it. In effetti, a vedermi ora, devo essere poco credibile come batterista rock.

Chi suona la batteria lo sa bene, la cucina è uno degli ambienti più appropriati per improvvisare una session. Tutto ciò che mi occorre è a portata di mano, sullo scolapiatti: un tagliere e due cucchiai di legno. Preparo la mia postazione, mi  metto comodo e ripenso: Respirate, sentite il tempo e poi date un movimento al pedale. Così comincio a portare il tempo col piede, poi mi lancio in una rullata, qualche ritmo orecchiabile. Aggiungo una bottiglia di vetro, un accendino e una tazza di ceramica. Ora sto suonando Lithium. Il mio pubblico sembra compiaciuto, deve averla riconosciuta! Sono anni che non esercito, ma me la cavo ancora dignitosamente. Appena mi accorgo che l’attenzione sta calando, smetto.

Poso le bacchette e, mentre sparecchio, mi rivolgo al ragazzo.

Se ti impegnerai davvero a studiare la batteria, conquisterai alcune abilità che ora potrebbero sembrarti di un altro pianeta, ad esempio l’indipendenza degli arti, o seguire il metronomo. Diventerai una specie di cowboy: la cassa sarà il tuo cavallo ed il rullante il tuo fucile. Poi scoprirai i mille modi diversi di toccare i tom, o la segreta arte di aprire e chiudere correttamente il charleston. Tutto questo ti condurrà ad un grande dono: imparerai a scomporre mentalmente ogni canzone per vedere subito cosa sta facendo ogni pezzo della batteria. Oltre a sentire il ritmo, lo vedrai.

Saluti

Forse ho esagerato, ma il ragazzo mi è sembrato abbastanza incuriosito: mi piace pensare che questa volta ho avuto io, almeno per un attimo, l’autorevolezza del maestro Miyagi. Naturalmente so bene che l’effetto del mio sermone, ammesso che ne abbia avuto uno, svanirà molto presto. Ci vorrà poco a distrarlo dai paradiddle con le 5A ed il pad appena acquistati per vedere che succede.

Infatti una notifica sul cellulare sposta tutta la sua attenzione altrove: ci saluta con un “beh io vado, ciao”, ed io ed il mio amico rimaniamo qualche istante in silenzio. Gli adolescenti di oggi saranno anche un po’ lenti e confusi nel parlare, ma sono molto più bravi di noi a tagliare la corda al momento opportuno.

Istintivamente comincio a picchiettare sul tavolo. Tutti i batteristi hanno questo vizio: quando sono nervosi, picchiettano la prima superficie dura a portata di dita. Ognuno riproduce il suo ritmo preferito, li aiuta a rilassarsi. Il fatto è che ultimamente mi sento piuttosto stressato, e lo stress, in questi tempi un po’ dispari e sincopati, è più impietoso della canicola.


Dario Benedetto – Puoi  visitare il mio sito qui: dariobenedetto.com – il sito da leggere a tutto volume

Photo credit: Joe Morello al Late Night con Conan O’Brien, 1995. Puoi vedere il video qui